“Abbiamo fatto quello che ritenevamo giusto fare!”

Così Liliana Martini commenta quanto un gruppo di giovani universitari e lavoratori realizzava a Padova a partire dal 1943 sotto il dominio nazifascista: nascondere, fornire documenti falsi, aiutare a scappare.

In una parola: salvare.

Detto altrimenti: rischiare la vita per la vita altrui.

Padre Placido Cortese

Insieme alla rete padovana conosciuta come Fra.Ma lavorava anche Padre Placido Cortese.

Alcuni suoi confratelli hanno incontrato i ragazzi del Liceo per presentare loro la figura semplice, coraggiosa e tenace di un uomo che ha sentito che in quel suo terribile pezzetto di storia toccava a lui fare tutta la sua parte, quella possibile.

Padre Placido sedeva per lungo tempo in confessionale al Santo e lì, oltre a prendersi cura delle anime penitenti, carpiva i messaggi in codice che compagni di impresa gli recapitavano.

“Cinque scope… tre uova.”, come a dire “Altri cinque documenti falsi… altre tre persone da nascondere o da far partire…”

Un tempo difficile quello di Padre Placido Cortese, costretto a fare tutto clandestinamente anche rispetto la sua stessa comunità religiosa, per non mettere in pericolo sé e nemmeno i suoi confratelli.

In tempi concitati si è trovato solo, in pericolo, in allerta, ma sempre pronto a prodigarsi per chi si trovava nel bisogno.

Passione per la giustizia e per l’uomo

Ci vuole una grande passione per la giustizia e per l’uomo per correre il rischio di rimetterci la vita in prima persona.

Per subire torture indicibili e rifiutarsi comunque di fare i nomi degli altri collaboratori.

Per essere stato ucciso e bruciato nei tristi e famosi forni crematori eppure parlare ancora a intere schiere di giovani che passano dal vociare del cortile e del corridoio al silenzio pieno e assordante di chi ascolta una storia come questa e in coscienza si domanda: “Se capitasse a me?”

Coscienza: è proprio questa che Padre Placido ha saputo scuotere attraverso le parole dei suoi confratelli.

E che ci serve sempre che sia sveglia per affrontare le sfide di oggi, quelle quotidiane, quelle di fronte alle quali sarebbe più comodo voltarsi dall’altra parte.

Quelle che non hanno bisogno di indifferenza ma di persone che con lucidità e determinazione sanno dire anche oggi e domani e dopodomani “Tocca a me!”

Le ultime parole di questo piccolo e grande uomo nel bunker a Trieste sono state “Prega e taci”.

Quasi ad indicare le due colonne portanti della vita di Padre Placido: la preghiera, che come uomini e donne di Dio infonde coraggio e forza, e il silenzio, potente strumento di salvezza.

Due certezze non improvvisate, invocate alla fine della vita, perché frutto dell’allenamento di un’intera vita.

Buon allenamento anche a noi, chiamati ad essere presenti agli appelli della nostra storia, diversa ma ancora oggi spesso discriminatoria.