Nella vita di un docente, la didattica del “Giorno della Memoria” rappresenta un appuntamento ineludibile.

Non solo, naturalmente, come adempimento a quanto stabilito dalla legge italiana 211/2000 e ribadito nella risoluzione ONU 60/7 del 2005, ma anche e soprattutto per il suo essere in qualche misura una sorta di emblema dell’insegnare.

I fatti da commemorare sono ben noti.

Talmente noti da aver portato la stessa Germania a ritenerli scontati per oltre cinquant’anni, facendo sì che ancora oggi un ragazzo su cinque formatosi in quel cono d’ombra culturale possa dichiarare alla prima rete tedesca di non aver mai nemmeno sentito nominare Auschwitz, e che un numero tristemente imprecisato di individui si dimostri scettico nei confronti dell’Olocausto.

La trappola del già noto risiede, d’altronde, nella natura stessa della ricorrenza, che si presenta sempre uguale tutti gli anni, ogni 27 gennaio, inamidata nella formale solennità delle istituzioni.

Il “Giorno della Memoria”: punto di vista del docente

Affrontare il “Giorno della Memoria” dalla parte del docente è dunque, innanzitutto, un esercizio di inventiva, di rinnovamento e modulazione dell’azione formativa alle esigenze intellettuali di alunni che vanno dagli 11 ai 19 anni e che, potenzialmente, possono essere accompagnati dal medesimo insegnante per tutti gli otto anni della loro formazione secondaria.

Ragionare sul “Giorno della Memoria” contribuisce inoltre alla formazione di anticorpi contro le più comuni e odiose fallacie argomentative, che vorrebbero relativizzare il momento forse più oscuro della nostra Storia accostandolo strumentalmente ad altre tragedie di diversa matrice ideologica.

Contestualizzare i fatti all’interno del ‘secolo breve’, particolareggiare ogni volta di più il supposto già noto e stimolare lo spirito critico tramite un puntuale rimando all’oggi.

Cultura e cittadinanza attiva, insomma.

In una parola: scuola.

(Federico Contini)