Nel teatro a scuola Don Bosco vedeva uno “strumento privilegiato di educazione e formazione della gioventù”; ispirandoci alla sua visione pedagogica, anche la nostra scuola propone da anni due laboratori pomeridiani di teatro, destinati ai ragazzi della scuola secondaria di primo e secondo grado, tenuti da professionisti del settore e sempre molto frequentati dai ragazzi. È inoltre tradizione della scuola impegnare i ragazzi delle classi terze medie nella preparazione dello spettacolo teatrale per la festa di Don Bosco che si tiene il 31 gennaio.

Abbiamo intervistato Richard e Maria, i nostri “angeli custodi “ in questa avventura.

Da quanti anni vi occupate di laboratori che prevedono il teatro a scuola?

Abbiamo iniziato a gennaio 2016, con il super spettacolone per la festa di Don Bosco. Praticamente a tre mesi dalla nostra formazione come compagnia e del nostro trasferimento a Padova da Roma, dove abbiamo portato a termine gli studi in recitazione.

Cosa significa per voi fare teatro a scuola?

Entrambi abbiamo iniziato a muovere i primi passi sul palcoscenico in ambito scolastico maturando negli anni la volontà di farne una professione. Vi è chiaramente una distanza notevole tra il nostro lavoro nel teatro professionale e quello scolastico ma in entrambe le situazioni siamo mossi dallo stesso amore, che se da un lato è di matrice artistica dall’altro tocca maggiormente le corde umane. Il lavoro teatrale con i ragazzi ci ricollega alla passione delle nostre prime esperienze scolastiche ed alla spensierata gioia nel mettere in scena un progetto con l’unico intento di veder brillare di emozione i loro occhi. Il teatro, quindi, ci restituisce sempre dei doni preziosi la cui funzione è quella di essere custoditi per gli incontri a venire. Ricevere e donare sono i verbi che muovono il nostro vivere il teatro con i ragazzi.

Tornando all’esperienza scolastica, come scegliete la rappresentazione e come organizzate gli attori?

I primi 2-3 incontri di laboratorio ci servono per conoscere i ragazzi e dunque il gruppo che andrà poi in scena. Attraverso dei giochi semplici e dinamici, cerchiamo di trasferirgli alcune delle basi minime del lavoro dell’attore (ritmo, voce, principio di azione e reazione, ascolto, ecc…).

Grazie a questi esercizi riusciamo a capire quali sono le attitudini e il temperamento del singolo e del gruppo, e sulla base di queste informazioni scegliamo il testo più adatto da mettere in scena, che possa valorizzare tutti, ciascuno con le proprie capacità e competenze acquisite. Ci sono infatti dei ragazzi di terza media che hanno iniziato i laboratori con noi sin dalla prima, e che hanno chiaramente sviluppato una coscienza scenica maggiore, a cui affidiamo delle parti più impegnative o complesse, mentre alle new entries diamo qualcosa di più semplice per iniziare.

Anche se questa è comunque una tendenza, perché ogni anno ci capita di incontrare almeno un ragazz* con noi per la prima volta, dotato di un indole attoriale naturale.

Che risposta hanno in genere i ragazzi alle vostre proposte?

Di solito sono entusiasti ed è fondamentale che lo siano, se ai ragazzi non piacesse il testo sarebbe infatti impossibile metterlo in scena, perché non si divertirebbero e di conseguenza non si impegnerebbero nel cercare di migliorarsi e raggiungere degli obiettivi da mostrare al pubblico.

Aldilà di un approvazione a livello di gusto, il ritrovarsi ad applicare nel testo da mettere in scena gli stessi principi di base attoriale, che hanno imparato a conoscere negli esercizi dei primi incontri, li rende consapevoli del lavoro da fare e degli obiettivi da raggiungere sia individualmente che come gruppo.

I ragazzi provengono solitamente da classi diverse, come si relazionano tra di loro?

Abbiamo sempre avuto l’impressione che si conoscano tutti tra di loro in qualche modo. Non abbiamo mai notato episodi sgradevoli di “nonnismo” o altro. Certo, all’inizio tendono a sedersi in gruppetti tra compagni di classe, ma i momenti in cui star seduti sono talmente pochi e brevi che questi tentativi di aggregazione non durano molto. Inoltre i giochi-esercizi del primo incontro di laboratorio, fatti in cerchio, sono proprio volti a rompere il ghiaccio, a imparare i nomi di tutti, e a creare immediatamente una coesione di gruppo. E questo è subito accettato dai ragazzi in maniera naturale.

Vedete nel corso del laboratorio delle evoluzioni nei rapporti interpersonali?

Assolutamente sì e di vario tipo, soprattutto quando affidiamo una scena comune a ragazzi che non si conoscono. Abbiamo visto ad esempio ragazzi dello stesso anno ma di classe diversa all’inizio non avere confidenza e poi finire per legare molto; oppure nascere delle simpatie divertenti tra ragazzi di terza e ragazzi di prima. Abbiamo anche visto compagni di classe, che all’inizio facevano coppia fissa, separarsi durante il laboratorio perché uno si era appassionato maggiormente al teatro e l’altro no.

Vi è mai capitato di avere tra gli iscritti dei ragazzi un po’ timidi? Può il teatro aiutarli?

Ci è capitato e abbiamo ricordi di tanti piccoli miracoli avvenuti non solo a partire da un problema di timidezza, ma anche da vere e proprie difficoltà con la parola, o con le emozioni. Abbiamo visto alcuni ragazzi appassionarsi e fare passi da gigante di anno in anno. Questo ci ha meravigliato e gratificato tanto.

Come può l’esperienza teatrale tradursi in un insegnamento pedagogico ed educativo?

Sono molteplici i punti di accordo tra l’aspetto pedagogico e quello educativo nel lavoro teatrale scolastico. I ragazzi vengono stimolati: all’ascolto reciproco; a rafforzare il desiderio di conoscere l’altro e a rispettarlo; a collaborare; ad abbattere le barriere sociali; a rafforzare l’autodisciplina; ad imparare a incanalare le proprie emozioni; a superare i disagi e le insicurezze rapportandosi con i compagni ed un pubblico; a sensibilizzarsi a sostegno di tematiche artistiche e culturali, liberarsi dai blocchi emotivi e sociali, liberano la  loro fantasia, rafforzano le capacità espressive ed educano il loro sguardo alla bellezza.

“Il Teatro, se le commedie sono ben scelte: è scuola di moralità, di buon vivere sociale e, talora, di santità; sviluppa assai la mente di chi recita e gli dà disinvoltura; reca allegria ai giovani che vi pensano molti giorni prima e molti giorni dopo; è uno dei mezzi potentissimi per occupare le menti. Quanti pensieri cattivi o cattivi discorsi allontana, richiamando ivi tutta l’attenzione e tutte le conversazioni! Infine attira molti giovani nei nostri collegi, perché nelle vacanze i nostri allievi raccontano ai parenti, ai compagni, agli amici l’allegria delle nostre case”.

Don Giovanni Bosco