riflessioni

Vogliamo riproporvi alcune riflessioni fatte da un nostro allievo di 5° liceo; Pietro Mazzetto ci racconta come ha vissuto le difficoltà causate da questo periodo particolare, le domande che si è posto e la sua speranza di tornare alla normalità. Un percorso complicato, che lo ha però portato – insieme ai suoi compagni – ad affrontare e superare la maturità.

E ora che faccio?

“E ora che faccio?” E’ questa la domanda che non riesco a togliermi dalla testa da tre mesi a questa parte: una domanda che non trova mai risposta, solo qualche accenno in fugaci intervalli di spensieratezza. Una domanda che, posta in tempi ‘normali’, farebbe rabbrividire me e chi mi ascolta: come può un ragazzo di 18 anni avere così poche idee da non saper cosa fare? 

C’è da dire che il quesito da candidato all’ozio – che questa domanda rappresenta benissimo – ha per me un respiro molto più ampio: non si tratta semplicemente di trovarsi una distrazione dalla noia per superare i momenti più prossimi al presente, ma del bisogno di raccogliere quel minimo di dati che ci permette di sognare in grande, della disperata e necessaria ricerca di nuovi stimoli, motore dell’uomo, ancor più di un diciottenne, pensieroso -forse troppo- come me.

Il limite

Nemmeno il pessimismo si addice ad un ragazzo della mia età, ma più che pessimismo, credo si tratti del riconoscere il limite che questo periodo, nel bene o nel male, ci presenta. Un autore di Filosofia da poco studiato mi aiuta sempre in questi casi: Johann Gottlieb Fichte, un pensatore a cavallo tra ‘700 e ‘800, mi direbbe che il vero modo per essere libero è tendere – lui dice Streben – continuamente ad un Infinito che sta oltre un limite. A questo punto mi rassereno: vedendola così, il limite della dad, della quarantena, della pandemia, della crisi politica ed economica, del mio vivere in tutto questo ha una  necessaria conseguenza nel mio tendere ad un Infinito, ad un domani, nel mio essere libero in questo momento in cui ci sentiamo unanimemente vincolati.

Tutta questa frustrazione, che si risolve filosoficamente in un’ardua e poco chiara elucubrazione, è il risultato di ore passate davanti al computer tra video-lezioni, chiamate tra amici, orari sfasati, una tristissima socializzazione tra social-media e l’inevitabile consapevolezza di dover fare i conti con il proprio Io.

Ci vuole pazienza

Giovanni Falcone direbbe che «tutte le cose in questo mondo hanno inevitabilmente un inizio e una fine»: la pandemia è una cosa di questo mondo e come è iniziata, avrà anche una sua conclusione. Per ritornare ai tempi della “normalità” dovremo essere pazienti ancora per diversi mesi: qualcuno azzarda il 2022, ma alla fine dei conti ce ne vorrà prima che questa pandemia diventi solo un ricordo, un brutto sogno per noi “pastori erranti” in questo assurdo complesso di relazioni che chiamiamo vita; la riapertura delle scuole dopo tutti questi giorni di dad è per me già un grande sospiro di sollievo: avido di sapere, sommamente stimolato dallo studio e dalla scoperta, mai pago di risposte, non posso che essere felicemente sereno davanti a quel banco vissuto da intere generazioni di studenti.

Ma non è solo un banco fisico quello che ho raggiunto in questi giorni, è un “banco di prova”, di sfida personale e collettiva: ora più che mai il grande impegno di noi giovani è quello di essere attivamente responsabili per vivere al meglio questa lecita opportunità di tornare a condividere esperienze ed emozioni tra quei banchi che hanno visto crescere noi, i nostri predecessori e chi percorrerà gli stessi passi nel grande, magico e controverso mondo di quella crescita e realizzazione personale di cui la Scuola, volenti o nolenti, in gran parte ci stimola a ricercare.